(Danielle's Journey- Lo scopo di questo video è quello di aumentare
la consapevolezza del disturbo di conversione)
La mente ribocca di vissuti ed emozioni, il corpo si blocca nelle sue funzioni
L'Associazione degli Psichiatri Americani (APA), nel descrivere questo disturbo, ha adottato il termine "conversione" che tradizionalmente si rifà all'idea che il sintomo somatico rappresenti una risoluzione simbolica di un conflitto o di un motivo di stress. L'inquadramento diagnostico del disturbo effettuato dall'APA* si emancipa da questa lettura psico-analitica e richiede la sola presenza di qualche fattore psicologico associato in qualche modo ai sintomi.
Il Disturbo di Conversione viene infatti descritto in questi termini:
Uno o più sintomi o deficit riguardanti funzioni motorie volontarie o sensitive, che suggeriscono una condizione neurologica o medica generale.
Si valuta che qualche fattore psicologico sia associato col sintomo o col deficit, in quanto l'esordio o l´esacerbazione del sintomo o del deficit è preceduto da qualche conflitto o altro tipo di fattore stressante.
Il sintomo o deficit non è intenzionalmente prodotto o simulato.
Il sintomo o deficit non può, dopo le appropriate indagini, essere pienamente spiegato con una condizione medica generale, o con gli effetti diretti di una sostanza, o con una esperienza o comportamento culturalmente determinati.
Il sintomo o deficit causa disagio clinicamente significativo, o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti, oppure richiede attenzione medica.
Il sintomo o deficit non è limitato a dolore o disfunzioni sessuali, non si manifesta esclusivamente in corso di Disturbo di Somatizzazione, e non è meglio spiegabile con qualche altro disturbo mentale.
Può presentarsi:
- Con Sintomi o Deficit Motori
- Con Attacchi Epilettiformi o Convulsioni
- Con Sintomi o Deficit Sensitivi
- Con Sintomatologia Mista
*American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual ofMental Disorders, Fourth Edition, Text Revision. Edizione Italiana: Masson, Milano.
I disturbi di conversione rappresentano deficit "funzionali" non spiegabili da una compromissione sul piano neurologico (Vuilleumier, 2005). Infatti i pazienti che ne sono affetti si trovano spesso in una situazione vaga, in cui né il neurologo né lo psichiatra riescono a spiegare il problema attraverso la rilevazione di una patologia concernente i propri ambiti di interesse e intervento (Espay et al., 2009). Tuttavia, i problemi neurologici inspiegati risultano piuttosto comuni e sono riscontrati nel 30% dei centri di neurologia (Carson et al., 2000).
Gli specifici sintomi con cui si presenta il disturbo possono essere di tipo "positivo", quando compaiono e si aggiungono alla condizione esistente, come i tremori, gli attacchi simil-epilettici e la distonia (difficoltà motoria dovuta ad atteggiamenti posturali del tutto involontari dell'individuo), o di tipo "negativo", quando cioè alcune funzioni precedentemente intatte vengono perdute, come avviene nella paralisi, nell'insensibilità al tatto e al dolore, nella cecità, nella sordità, nell'afonia e nei problemi legati alla deglutizione e alla minzione (Stone, Vuilleumier & Friedman, 2010; Arciero & Bondolfi, 2009). I sintomi possono essere episodici o sostenuti, acuti o cronici. E' importante sottolineare che l'assenza di una comprovata compromissione neurologica non significa che questi disturbi siano un atto di simulazione o di finzione deliberata e tanto meno che non creino un reale, significativo disagio e una vera inabilità nelle persone affette (Carson et al., 2003; Merskey, 1995). Come intuì James ben oltre un secolo fa (1896), il disturbo di conversione, che allora Freud (1985) definiva isteria, è una malattia vera, ma una malattia mentale. Dopo più di un secolo di interesse clinico e teorico sull'argomento, l'esatta natura di tali disturbi emotivi responsabili dei sintomi e le loro conseguenze funzionali sui sistemi neurali nel cervello rimangono ancora ampiamente sconosciute (Vuilleumier, 2005). Tuttavia, diversi studi recenti hanno usato tecniche che producono immagini delle aree e delle funzioni del cervello (come la elettroencefalografia, la risonanza magnetica funzionale, la tomografia a emissione di positroni e la tomografia computerizzata a emissione di singolo fotone) nel tentativo di identificare gli specifici correlati neuronali associati ai sintomi di conversione. Queste ricerche cominciano a fornire un sostanziale supporto alla tesi dell'origine psicologica del disturbo, soprattutto riconoscendo l'importanza dei fattori contestuali che producono stress e tensioni emotive (Vuilleumier, 2005).
Infatti la letteratura, rispetto ad esempio ai deficit motori del disturbo di conversione, suppone che ci sia un legame tra l'attivazione emotiva e il disturbo di conversione che è in grado di modulare i circuiti motori, tanto da procurare il blocco degli arti. Soprattutto l'amigdala, deputata al processamento degli stimoli di tipo emotivo, è nota interferire sui comportamenti motori. Ad esempio, in risposta a stimoli minacciosi processati dall'amigdala gli animali diventano fortemente attenti e in allerta e, in prossimità della minaccia, attaccano o fuggono (Lang & Davis, 2006). Voon et al. (2010) hanno trovato che i pazienti con deficit motori mostrano una maggiore connessione dell'amigdala all'area motoria supplementare, il che può dar conto dell'influenza dell'emozione sulla funzione motoria inibita. Questo dato sembrerebbe suggerire che la paralisi negli uomini possa avvenire in modo simile al blocco che accade negli animali quando sono in pericolo.
Rispetto alla specificità delle aree attivate che impediscono l'esecuzione dell'azione o del movimento, Marshall et al. (1997) hanno mostrato che quando viene chiesto a una paziente con paralisi della parte sinistra del corpo di prepararsi a muovere la gamba bloccata, essa attivava le aree cerebrali (corteccia premotoria laterale ed emisfero cerebrale bilaterale) che esprimono l'intenzione e la preparazione a muovere l'arto bloccato. Questo dato smentisce ancora una volta che l'emi-paralisi sia una finzione, in quanto vengono attivate le aree del cervello che indicano la prontezza all'azione motoria. Inoltre, questo studio mostra anche quali siano i correlati neurobiologici che impediscono che l'azione sia effettivamente eseguita. Infatti, quando alla paziente viene chiesto di muovere l'arto bloccato, si registra un incremento di attività in alcune aree (corteccia cingolata anteriore e corteccia orbito-frontale) implicate nell'azione, nell'emozione e nell'inibizione motoria (Devinsky et al., 1995). Dunque, non si riesce a muovere la gamba nonostante la volontà per l'intervento di aree cerebrali deputate a inibire l'azione.
Lo studio di Vuilleumier et al. (2001), in cui pazienti con perdita sensomotoria unilaterale erano sottoposti a stimoli di tipo vibratorio, ha mostrato una riduzione dell'attività di aree (talamo e gangli della base) intimamente connesse all'interno di circuiti neuronali inerenti alle funzioni sia cognitive che motorie (Graybiel et al., 1994; Alexander et al., 1986). Dopo la remissione dei sintomi queste aree non avevano più un'attivazione ridotta. Questi risultati suggeriscono che i deficit di conversione implicano un disturbo funzionale nei circuiti neuronali (striato-talamo-corticali) che controllano la funzione sensomotoria e il comportamento motorio volontario. I gangli della base (soprattutto il nucleo caudato) potrebbe modulare i processi motori basati su indizi situazionali ed emozionali. Presi insieme, questi dati supportano le proposte teoriche precedenti che suggeriscono che i meccanismi attenzionali e motivazionali possano operare (a livello del talamo o dei gangli della base) per influenzare i processi sensomotori nel disturbo da conversione (Trimble, 1996; Ludwig, 1972).
Mailis-Gagnon et al. (2003) hanno riscontrato in pazienti con deficit di tipo somatosensoriale la mancanza di attivazione nelle aree deputate alle percezione sensoriale del tatto e del dolore (corteccia somatosensriale primaria e secondaria, corteccia cingolata anteriore) e all'attenzione (corteccia parietale posteriore) e una inusuale attivazione nelle regioni (della corteccia cingolata anteriore rostrale e perigenuale) considerate coinvolte più generalmente nei processi cognitivi e nell'emozione (Bush, Luu, & Posner, 2000).
E' vero che l'isteria è un disturbo mutevole e che non si possono generalizzare i risultati neurobiologici ottenuti a tutti gli altri sintomi e deficit del disturbo (Marshall et al., 1997), ma l'insieme degli studi esistenti suggerisce che le funzioni senso-motorie possano essere soppresse da segnali inibitori basati su particolari situazioni emozionali (Cojan et al., 2009).
Come si delinea il rapporto "tra mente e corpo" nel Disturbo di Conversione?
I sintomi isterici o di conversione sollevano la questione della relazione mente-corpo e ne mostrano tutta la complessità (Vuilleumier et al., 2001). E' proprio per via di questa problematicità di fondo che nel corso del tempo si è verificata un'oscillazione nella descrizione del disturbo, prima inteso di natura psichica e causato da disturbi corporei e poi inquadrato come problema a livello corporeo causato da violente emozioni (Merskey, 1995). Qui la relazione tra mente e corpo sprigiona tutta la sua forza dirompente, in grado di creare un vero e proprio corto-circuito, il cui prodotto ultimo è il sintomo stesso. Non a caso gli studi si concentrano su entrambi questi fronti, volendo fare chiarezza del "come" dei meccanismi dei sintomi di conversione e del "perché" relativo alle vulnerabilità dei pazienti che ne sono affetti (Stone, Vuilleumier & Friedman, 2010). E questi lavori hanno rilevato l'importanza dei fattori psicologici nel contribuire all'origine, all'esacerbazione, alla gravità o al mantenimento delle anomalie dinamiche della funzione del cervello (Mailis-Gagnon et al., 2003). L'implicazione di questo dato è che questi episodi sintomatici possano accadere in concomitanza di una amplia pletora di condizioni e contesti percepiti dai soggetti come carichi emotivamente, dove l'individuo utilizza specifici meccanismi per evitare eventi spiacevoli fisici o emotivi (Mailis-Gagnon et al., 2003). Ovviamente questi meccanismi non sono attivati con lucida consapevolezza, tanto che il soggetto non riesce a collegare la disfunzione o il sintomo del disturbo al suo vissuto personale relativo ad aspetti della sua vita. In questo senso, il problema fisico viene vissuto con un senso di estraneità, come un qualcosa che accade e non si riesce a capire perché, né tanto meno viene intuito questo fitto intreccio tra aspetti psicologici e implicazioni fisiche su cui solo negli ultimi anni si è cominciato a fare chiarezza attraverso la ricerca.
Perché è necessario intraprendere un percorso psicoterapeutico per curare il Disturbo di Conversione?
Proprio per la natura psicologica e profondamente emotiva di questo disturbo, corroborata anche dalle ricerche summenzionate, il percorso di cura non può che essere di tipo psicoterapeutico. E' infatti solo attraverso la psicoterapia che possono essere affrontate propriamente queste problematiche, che coinvolgono il corpo negli effetti sintomatici. Più in dettaglio, il lavoro con questi pazienti è improntato alla disamina delle situazioni che nella storia del paziente hanno innescato le manifestazioni sintomatiche del disturbo. Questo serve a rendere consapevole il paziente della connessione tra i vissuti emotivi legati ad accadimenti nella propria vita e il correlato sintomatico nel corpo. Attraverso questo percorso, il paziente riesce ad appropriarsi di diversi aspetti emotivi e significati personali che non aveva colto precedentemente e che "a sua insaputa" avevano creato il deficit nelle funzioni motorie e sensitive. Questa riappropriazione permette una efficace remissione dei deficit e dei sintomi attraverso il lavoro sugli aspetti psicologici implicati nello sviluppo e nel mantenimento degli stessi.